
Play it Again: Rä di Martino al Forte Belvedere
Forte Belvedere apre i suoi spazi a Rä di Martino, giovane artista contemporanea, e alla sua personale dal titolo Play It Again, un progetto di Museo Novecento a cura di Sergio Risaliti.
Attraverso una selezione di opere dal 2014 a oggi che include installazioni, video arte e fotografie, Play it again ci propone conflitti reali e fantastici.
Il percorso espositivo parte al primo piano mettendo in scena la realtà con The picture of ourselves, una video
installazione in bianco e nero, che mostra una bambina appesa a testa in giù, tenuta
per le gambe da un uomo. E’ una narrazione fatta di contrasti: una bambina e un
adulto, un lui e una lei, uno in piedi e l’altra
sottosopra. Entrambi guardano in camera e osservano l’osservatore. La relazione
tra i due, però, non è spiegata, potrebbero essere padre e figlia o due
sconosciuti, l’interpretazione è lasciata aperta.
Si passa poi al corpo centrale della mostra, focalizzato sul tema bellico, con una serie di opere che ha come protagonista il carro armato. L’artista gioca sul fatto che in guerra venivano adoperati spesso dei dummy tanks, finti carri armati usati per ingannare i nemici, mentre nella finzione del cinema si usano veri carri armati per le riprese. Una incongruenza, un paradosso che solletica l’immaginario dell’artista e si traduce in opere con carri armati giocattolo in cui la realtà della guerra diventa artificio ludico.
Passando dal reale alla finzione del cinema, la mostra si conclude infine con la completa astrazione dell’installazione di luce al secondo piano.
Ra di Martino ricerca l’armonia negli elementi
discordanti, nei conflitti. Il suo immaginario è fatto di ripetizioni,
luoghi desolati e desertici, elementi tratti dal cinema e dalla cultura pop
spesso ironicamente decontestualizzati. C’è una volontà di lavorare sulla memoria
collettiva, con elementi e situazioni in cui tutti ci riconosciamo in qualche
modo, che appartengono alla nostra memoria perché provenienti perlopiù dai
media.
L’artista italiana si
sofferma sul potere che i media e il cinema hanno sul nostro inconscio e sul
nostro immaginario collettivo e ci presenta immagini oniriche che in qualche
modo ci ricordano qualcosa ma rimangono sospese nel tempo, ci affascinano e ci
straniano al tempo stesso.