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Oltre il Rinascimento a Firenze – Il nuovo Palazzo di Giustizia, la realizzazione
Leonardo Ricci muore nel 1994, la costruzione inizia nel 2000
e l’opera viene inaugurata nel 2012.
È il secondo più grande Palazzo di
Giustizia d’Italia, dopo quello di Torino, copre 3 ettari di terreno e ha una
superficie utile di 126.000 mq. Le misure sono: 230 m per 180 m, altezza
massima 76 m. Altri numeri che danno un’idea della grandiosità della costruzione:
54.000 metri cubi di calcestruzzo utilizzati e 5465 tonnellate d’acciaio per il
cemento armato. E, come nelle intenzioni del committente, riunisce tutti gli
uffici giudiziari della provincia e anche l’Ordine degli Avvocati.
Gli ampi spazi aperti che circondano la costruzione, i grandi
viali, la piazza antistante e a est il Parco di San Donato, ne risaltano le
grandi dimensioni. Il palazzo è visibile da quasi tutta la città e giunge a
condizionare il paesaggio, rivaleggiando con la Cupola del Brunelleschi, poco
più alta. Si è scelto di realizzare una struttura impattante, che deve dominare,
colpire, sbalordire, épater le bourgeois
come si diceva nell’ ‘800.
L’analisi della struttura non è semplice, sia per le
dimensioni, sia perché l’architetto ha intenzionalmente creato una complessità
di superfici ed elementi architettonici diversi che all’inizio può
disorientare. Va vista punto per punto.
LA STRUTTURA GENERALE. Evidente la volontà di presentare un
sistema di volumi scomposti e poi assemblati su piani diversi, per dare
complessità e percezione di un agglomerato urbano, non di un solo edificio.
Anche le scale di emergenza sono alloggiate in torri esterne. Si vuole dare la
sensazione di potere destrutturare l’insieme, separare tutti i volumi. Una struttura
unitaria e uniforme con queste dimensioni in effetti avrebbe dato un’immagine
di eccessiva pesantezza e imponenza. Un effetto-caserma.
L’APPARENTE ASIMMETRIA. L’esigenza di rompere una sgradita
simmetria giustifica i lunghi cordoni colorati (bianchi in facciata, marrone
scuro sui lati) obliqui che delimitano grandi superfici vetrate, oblique a
nord, verticali a sud. Il senso di scarsa coesione e le asimmetrie sono però
solo apparenti perché la pianta vede poi tutte le parti allineate e le funzioni
interne ben definite.
LA FACCIATA. Grandi superfici in cemento, vaste vetrature che
disegnano geometrie orizzontali e oblique, una sezione centrale, su cui si apre
il grande corridoio interno (chiamato “la
basilica”), definito da due torri cieche in facciata. Le due torri sono
unite da un ponte coperto sospeso di colore scuro con una grande finestra
circolare, una specie di cuore simmetrico dell’edificio, un rosone da
cattedrale.
LA BASILICA INTERNA. La costruzione si sviluppa poi per lungo
con due corpi contenenti aule e uffici, tutti affacciati sull’area centrale, la
“basilica”, che corre per tutta la
lunghezza. Lo spazio è illuminato da una copertura in vetro totale, da un
grande quadrato vetrato sopra l’entrata principale e da un trapezio vetrato sul
retro. Il massimo della luminosità per uno spazio pensato come centro di
socialità ed incontro, come una piazza di paese.
LA GIUSTIZIA COME RELIGIONE. Non a caso lo spazio centrale si
definisce basilica perché l’idea di
cattedrale è insita nel progetto. Si ritrova nella pianta allungata, nel
concetto di facciata di un corpo allungato, nella “basilica” come navata centrale, nelle torri come doppio campanile (Notre Dame ha 2 campanili), nel rosone,
nell’uso esagerato del vetro anche sulle pareti laterali con superfici non
corrispondenti ai bisogni di luce dei vani retrostanti. Si è deciso di santificare, celebrare l’idea di giustizia, dargli un
significato metafisico, sovrumano, non puramente amministrativo. Ma luminoso,
colorato e accogliente, non il tetro castello del Bargello, la sede della
giustizia fiorentina nel Medioevo.
LA TENDA. Lo stile di Michelucci, espresso al meglio nella
Chiesa di San Giovanni Battista all’Autostrada del Sole, ha sicuramente
influenzato tutto il progetto. La chiesa, realizzata tra il 1960 e il 1964 per
commemorare gli operai morti nella costruzione dell’Autostrada del Sole, è un
capolavoro riconosciuto, si dice uno dei più importanti del ‘900. La struttura,
in cemento e rame, ricorda una tenda che si appoggia su pali e tiranti, persa
nella pianura, in quel punto poco edificata e isolata tra gli svincoli delle
autostrade, le moderne vie carovaniere percorse dai moderni pellegrini. La
tenda come rifugio, protezione del viandante nel deserto. Anche nel Palazzo di
Giustizia di Ricci c’è il motivo della tenda, in questo caso delle dimensioni
di un accampamento. Superfici oblique appoggiate a grandi piloni svettanti che
spuntano, sottolineate da costoloni colorati, simili a pali e tiranti che
sembrano sostenere una grande vela.
LA SCELTA DEI MATERIALI E L’IMMAGINE
IPER-MODERNA. Il grande uso di ferro, vetro e cemento, la spinta verso l’alto
delle torri, delle guglie e dei costoloni determina una sensazione di
iper-modernismo, di iper-tecnologia. Una società pesantemente industrializzata
che punta al cielo, al futuro, anzi post-industriale e un po’ aliena. Un’idea
di fantascienza che sfiora i fumetti di Disney, la Gotham City di Batman, la
città futurista di Antonio Sant’Elia.
LE SCULTURE. In questa atmosfera futurista si
inseriscono anche le sculture, collocate fuori e dentro. Il tubo-fontana con
fori di fuoruscita dell’acqua asimmetrici di Sisley Xhafa (“J”), il tunnel di metallo di Virginia
Zanetti (“Il cielo stellato sopra di me”),
l’elica in resina di Shigeru Saaito (”Prima
del tramonto”), il nastro verticale con neon simmetrici di Antonio Violetta
(“Giustizia”), il blocco di materiali
che si sta cristallizzando (“Metabole”)
e la grande porta in metallo scolpita di Onofrio Pepe (“La porta del mito”). A Lando Conti, sindaco di Firenze dal 1984 al
1985, ucciso dalle Brigate Rosse nel 1986, è stato dedicato invece un modesto e
tradizionale obelisco al centro della piazza che porta il suo nome, antistante
la facciata.
Rispetto al progetto iniziale manca la piazza circolare,
trasformata in un triangolo allungato, schiacciato su viale Guidoni, strada ad
altissimo volume di traffico. Mancano le “braccia”
dei disegni di Michelucci che dovevano accogliere l’utente e anche la “reflecting pool”. La basilica interna
non è aperta sull’esterno su tutti i lati e non è accessibile fuori orario da
semplici cittadini, quindi la sua funzione “sociale”
si è ristretta agli utenti ufficiali.
Non sono stati usati per l’esterno i marmi bianchi e verdi,
tipici dei monumenti fiorentini gotico-rinascimentali. Il riferimento cromatico
è quindi limitato al colore marrone-rossastro dei rivestimenti, che ricordano
le pietre e i mattoni delle strutture delle chiese monumentali come Santa Maria
Novella, San Lorenzo e Santa Croce.
L’opera, in fase di discussione, progettazione e
realizzazione scatena polemiche infinite. Sull’estetica, sulla spesa, sulla
funzionalità, praticamente su ogni particolare, con toni addirittura volgari e
offensivi. Forse le espressioni più feroci mai sentite in città per un’opera
architettonica.
Di tutti i giudizi negativi, riportiamo il più famoso, quello di Vittorio Sgarbi, famoso critico d’arte e studioso: “Il Palazzo di Giustizia dovrebbe essere bombardato … è il più brutto del mondo, è l’esempio delle spese inutili, gli architetti che lo hanno progettato dovrebbero essere arrestati, l’orrore che hanno progettato grida vendetta e i magistrati dovrebbero difendere Firenze da una m…. del genere!”. E anche, parlando di questo e altri tribunali italiani: “I magistrati condannano spesso gli innocenti e non si pongono il problema di chi ha fatto questo orrore? Perché deve essere fatto così? Perché non aprono un’inchiesta sui costi e sui materiali scadenti con cui è stato costruito? Perché Davigo (il presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati) non si preoccupa della corruzione estetica?”. E paragonando il Nuovo Palazzo di Firenze con quello di Savona, anche quello progettato da Leonardo Ricci: “Se la combattono questi due palazzi per stabilire qual è il luogo più brutto d’Italia. Che credibilità ha un magistrato che lavora in un posto del genere? Indaghino su chi ha consentito questa immonda immagine!”.
Foto in alto: "La
porta del mito" di Onofrio Pepe e "Prima del tramonto" di Shigeru Saaito.